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Sentieri Francescani: Eremo delle Carceri

La strada che conduce verso il Subasio è dapprima punteggiata di ulivi, poi man mano che si sale anche le querce fanno la loro comparsa. Indietro rimangono Assisi con le sue rocche poderose e la cupola di S. Rufino, mentre S. Maria degli Angeli spicca, grandiosa, nella piana del Topino e del Chiascio.

Poi, la vegetazione comincia a diradare ma, quando si entra in una gola, immediatamente  si apre la vista su una folta ombra verde: è il bosco di querce e lecci in cui è profondamente immerso l’Eremo delle Carceri a 791 metri.Qui le grotte naturali fecero da “carcere” spirituale a Francesco e ai suoi compagni, divenendo le loro celle eremitiche dove il tempo era tutto trascorso in preghiera e meditazione: sono sparse nella selva e i sentieri scoscesi e disagevoli che le dividono e insieme le uniscono si snodano tra gradini e antichi attraversamenti di torrenti ora in secca.

Francesco comincia a frequentare questo monte tra il 1205 e il 1206 per scoprire attraverso il raccoglimento del ritiro e la preghiera la strada che dovrà imboccare.Questo è l’ambiente semplice e rustico molte volte descritto negli episodi dei Fioretti: Leone, Bernardo, Silvestro, Rufino, Masseo, tutti abitarono qui con Francesco, pregando e meditando in perfetta comunione con la natura circostante.

Nel ‘400 l’eremo divenne un cenobio, soprattutto per opera di S. Bernardino da Siena. Fu edificata un’altra chiesa e ampliato il convento con un dormitorio e un refettorio tuttora esistenti.Un grande arco di pietra, sul cui portale un affresco raffigura la Madonna e i Ss. Francesco e Chiara, dà accesso alla selva: percorrendo una stradetta tra due muriccioli si arriva finalmente alla porta dell’Eremo. All’interno un raccolto cortile triangolare lastricato con grandi pietroni è ornato da un pozzo.

Il muro a sinistra è asimmetricamente dotato di finestre e coronato sulla cima da un portico a quattro archi che spezza la monotonia del sobrio paramento di pietra, ulteriormente addolcito dal campaniletto a vela. Sulla destra lo sguardo si apre alla visuale su uno dei panorami più suggestivi che l’Umbria possa vantare: attraverso il bosco e la gola del monte Subasio compare ampia la pianura spoletana.La chiesetta quattrocentesca, detta di san Bernardino, ha sopra l’altare un affresco di scuola umbro-senese della metà del XV secolo raffigurante la Crocifissione; nel cippo dell’altare un altro affresco del ‘500, con lo stemma dei monti di Pietà. Una piccola vetrata del ‘300 sulla parete di fondo proviene dalla Francia.Un cancello di ferro dà accesso alla piccolissima cappella primitiva – il cuore del santuario – dedicata a S. Maria delle Carceri: scavata nella roccia di una balza rupestre che sporge da un lato, è semplicemente una grotta adattata dai poveri frati che venivano a pregarvi. All’altare, l’affresco del ‘500 con la Madonna col Bambino e san Francesco ha rivelato, durante alcuni restauri, la presenza di un affresco sottostante del ‘200 con una Crocifissione.

A sinistra della cappellina vi è il semplice coro di san Bernardino con quattordici posti. Scendendo una scalinata e attraversando minuscole porticine si entra nella grotta di san Francesco posta al di sotto della cappellina. Un unico ambiente all’epoca del Poverello, ora è diviso in due vani: uno con il letto di pietra su cui il santo dormiva e l’altro con uno scoglio roccioso che gli faceva da oratorio.Uscendo all’aperto si può vedere sul muro che chiude la grotta una pittura trecentesca con l’episodio della predica agli uccelli; poi, un crepaccio chiuso da una pietra rossa, chiamato “il buco del diavolo”, perché secondo la leggenda vi sarebbe precipitato il demonio che tentava Francesco.L’ormai arso torrente che si attraversa sul ponte ha anch’esso una leggenda da narrare. Si dice infatti che Francesco gli avrebbe chiesto di non scorrere più perché il suo scroscio disturbava le preghiere dei frati. E quello umilmente ubbidì.

Dall’altra parte del torrente vi è una scultura in bronzo della fine dell’ottocento opera di Vincenzo Rosignoli (1856-1920) che raffigura il Poverello che riceve due tortore da un ragazzo.La passeggiata all’interno della frescura della selva lungo il viale detto di san Francesco conduce nella pace e nel silenzio ai luoghi dove si trovano le grotte dei frati che qui dimorarono in solitudine. Seguendo sentieri scoscesi e altri gradini si raggiungono i ripari di frate Leone, di frate Bernardo, di frate Silvestro. Poi ancora proseguendo si possono vedere le grotte di frate Rufino e di frate Masseo.Qui sono ambientate molte delle narrazioni dei Fioretti: nel capitolo III, Francesco quasi cieco va in cerca della compagnia di Bernardo che “stava nella selva in orazione”; nel capitolo XVI Francesco dilaniato dal dubbio se fare vita ritirata o dedicarsi alla predicazione, chiede aiuto e consiglio a Silvestro, che si trovava appunto ritirato in preghiera sul “monte sovrastante Assisi”. Anche la tentazione di frate Rufino narrata nel Fioretto XXIX avviene all’eremo delle carceri.

Quest’ambiente umile, perché fatto di luoghi minuscoli, rustici e semplicissimi eppure così poeticamente vivi, rasserena l’animo e si comprende bene come i poveri frati lo avessero scelto e preferito fra tutti i luoghi possibili. Torna Itinerari  Francescani

 

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