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Chiese e monumenti da vedere a Roma

Chiesa S. Maria del Popolo

 

Appena entrati dalla Porta Flaminia (o del Popolo), a sinistra del grande vuoto della piazza realizzazione ottocentesca del Valadier, appare la facciata quattrocentesca della chiesa un poco sghimbescia ad indirizzare lo sguardo verso l’obelisco Flaminio che svetta al centro della piazza.

S. Maria del Popolo deve il suo nome ad un’antica cappella che papa Pasquale II (1099-1118) fece erigere, a spese del popolo romano, per celebrare la liberazione del  Santo Sepolcro avvenuta per opera dei crociati proprio nel 1099. L’edificazione avvenne sul mausoleo dei Domizi dove era sepolto Nerone il cui fantasma si diceva infestasse la zona.

Nel 1235 vi fu trasferita dal Laterano per volere di papa Gregorio IX la tavola bizantina del XII-XIII secolo con l’immagine della Vergine ritenuta in antico dipinta da S. Luca e ancor oggi posta sull’altare maggiore.

Gli Agostiniani, insediatisi qui nel 1250, due secoli più tardi, nel 1475-77, per volontà di Sisto IV provvidero ad una ricostruzione in forme monumentali della chiesa, ricostruzione che ebbe il suo definitivo completamento durante il papato di Giulio II. È tuttora ignoto il nome dell’architetto che la progettò, probabilmente si tratta di Andrea Bregno autore anche di molte opere di scultura che si trovano all’interno e del fregio di raffinata fattura del portale centrale: nella lunetta dentro il timpano la Madonna col Bambino.

 

Alessandro VII Chigi tra il 1656 e il 1660 fece restaurare la navata centrale dal Bernini in occasione anche del rifacimento interno della Porta del Popolo per l’arrivo a Roma della regina Cristina di Svezia.

La facciata rivestita di travertino è semplice e austera in accordo con il gusto dell’ordine degli Agostiniani: tripartita a due ordini di lesene che evidenziano la divisione interna e con tre portali.

L’intervento di Bernini ha modificato l’assetto delle finestre e del rosone, ha raccordato i due ordini con i mezzi sesti curvi e le ghirlande, aggiungendo sul timpano i candelabri e i monti con la stella di papa Chigi, oltre ai due timpani triangolari sulle porte minori.

Le tre navate dell’interno sono a quattro campate divise da pilastri a semicolonne addossate e altrettante cappelle poligonali per lato. Il transetto, con testate absidate e profondo coro absidale nascosto dall’altare maggiore seicentesco, presenta le due cantorie e le due cappelle semicircolari ai lati del presbiterio.

La decorazione plastica berniniana della navata centrale si è sovrapposta all’originaria struttura quattrocentesca: sul cornicione dentellato che ricollega le pareti seguendo la curva delle arcate siede la serie di statue in stucco dei Santi, eseguite da scultori della bottega di Bernini (Ercole Ferrata, Antonio Raggi e altri).

 

Il rosone è sorretto da due angeli di Ercole Ferrata. Sull’arcone del transetto due figure allegoriche fiancheggiano lo stemma di Alessandro VII.

Le opere d’arte racchiuse in questa chiesa sono numerosissime e meriterebbero tutte una trattazione esauriente.

Da notare in particolare, dietro l’altare seicentesco il coro di Bamante: un arcone a lacunari e abside con catino a conchiglia; le preziose vetrate gotiche del 1509, opera unica del genere e del periodo a Roma, realizzata dal francese Guglielmo di Marcillat; gli splendidi affreschi del Pinturicchio e i capolavori del Sansovino; nella sagrestia lo splendido altare quattrocentesco realizzato da Andrea Bregno, firmato e datato 1473 sostituito nel Seicento dall’attuale.

Ma sono le più celebrate e famose cappelle della chiesa: la cappella Chigi e la cappella Cerasi ad attirare l’attenzione dei visitatori.

La cappella Chigi fu fatta erigere dal ricchissimo e potente banchiere senese Agostino Chigi  come tomba di famiglia.

Il suo architetto fu Raffaello che la realizzò nel 1513-16. L’Urbinate fornì i cartoni anche per i mosaici della cupola, dove svolse un complicato programma decorativo dall’interessante significato iconologico mescolando insieme motivi paleocristiani e pagani, la cosmologia dantesca e il mondo classico e platonico.

Al centro campeggia l’Eterno che in veste di creatore del firmamento dà impulso ai pianeti che insieme al sole girano intorno a lui nella fascia più larga. Ogni pianeta ha l’aspetto della relativa divinità pagana sormontato da figure angeliche che ne guidano il moto secondo il concetto dantesco. L’effetto complessivo è molto gradevole anche per il contrasto tra le gradazioni azzurre dei mosaici e l’oro vivo delle cornici trattate a stucco.

 

Le otto scene affrescate tra le finestre del tamburo, relative alla Creazione e al Peccato originale sono di Francesco Salviati, che eseguì anche i tondi nei pennacchi con le Stagioni. Sull’altare, la Nascita della Vergine, di Sebastiano del Piombo. Nelle nicchie sculture di Bernini, mentre le tombe piramidali di Agostino Chigi  e del fratello Sigismondo sono  su disegno di Raffaello.

Nel transetto sinistro si trova la cappella Cerasi. All’altare una splendida Assunzione di Annibale Carracci del 1601. Ma le opere che attirano i visitatori di questa cappella sono le due grandi tele di Caravaggio. Monsignor Tiberio Cerasi, tesoriere del papa Clemente VIII, commissionò l’opera a Michelangelo Merisi imponendo i soggetti: la Crocifissione di S. Pietro e la Conversione di San Paolo.

Tra il 1600 e il 1601, contemporaneamente ai lavori che stava eseguendo per San Luigi dei Francesi, Caravaggio dipinse queste due tele gemelle per dimensioni (230x175 cm).

Una prima versione della Conversione di San Paolo – poi sostituita da quella che oggi vediamo e che si trova attualmente nella collezione Odescalchi – venne rifiutata, probabilmente per l’atteggiamento troppo irruento che Dio mostrava nella raffigurazione, uno spunto ritenuto dissacrante.

Così come i dipinti di San Luigi dei Francesi, di cui costituiscono un ideale proseguimento, queste tele collocate alle pareti laterali della cappella, troppo in alto e in penombra, caddero a lungo nell’oblio, fino alla loro “riscoperta” grazie agli studi di Roberto Longhi.

 

Entrambi gli episodi sono carichi di pathos – sebbene all’apparenza meno violenti rispetto ad esempio al Martirio di San Matteo in San Luigi – svolgendosi in un’atmosfera solitaria e silenziosa come fatti non soprannaturali, ma semplicemente umani. Il senso di intensa partecipazione umana si estende addirittura agli aguzzini di Pietro, che paiono per quello che sono, uomini semplici costretti ad un duro e faticoso lavoro. La luce (la Grazia illuminante), magistralmente indirizzata sui protagonisti dell’azione, serpeggia seguendo i corpi e la croce, illuminando in pieno il volto del vecchio Pietro che partecipa con forza orgogliosa al proprio supplizio.

Nella caduta di San Paolo Caravaggio interpreta con assoluta libertà il tema: Saulo non è folgorato sulla via di Damasco ma all’interno di una stalla semibuia dove il grande cavallo fa da specchio alla luce della Grazia che proviene da una fonte invisibile, riversandola sul corpo di Paolo che leva le braccia per accoglierla.

Caravaggio ha qui messo in scena la simbologia della Grazia illuminante di cui Sant’Agostino fu il massimo teorico. La Grazia che discende sul peccatore, la Grazia come perpetua illuminazione, la conoscenza della quale è pura visione in Dio.

La chiesa di Santa Maria del Popolo, sede dell’ordine agostiniano, era quindi il luogo giusto per raffigurare tale mistero. Torna alle Chiese di Roma- Albergo religiosi Roma -Visitare Roma in due giorni - Disponibilità Hotel Roma