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L'oratorio della Chiesa S. Maria in Vallicella

 

Filippo Neri (Firenze 1515- Roma 26 maggio 1595), fondatore della Congregazione e inventore dell’Oratorio musicale - la preghiera comune in cui il commento alle sacre scritture si alternava a laudi e canti - voleva realizzare un desiderio e per questo aveva lasciato – in un codicillo al testamento – 300 scudi per costruire un nuovo oratorio in sostituzione del vecchio.

Padre Virgilio Spada, autorevole commissario della sovrintendenza ai lavori della Vallicella, colto e appassionato di architettura, si adopera per scegliere, nell’ambito del concorso pubblico bandito dai filippini, il miglior progetto per “la gemma preziosa dell’anello della Congregazione”, cioè l’oratorio.

 

È Borromini a vincere nel 1637 con il suo originale e nuovissimo edificio: lo stesso architetto racconterà, nel capitolo VII dell’Opus architectonicum composto insieme a padre Virgilio Spada nel 1647, le difficoltà incontrate per realizzarne la costruzione che comunque procederà velocemente – concludendosi nel breve giro di due anni –celebrandosi l’inaugurazione nel giorno dell’Assunzione del 1640.

Si trattava di nascondere con la facciata il corpo trasversale dell’edificio e, con un brillante espediente prospettico Borromini riesce nell’intento. Inoltre la costruzione doveva essere intenzionalmente più piccola rispetto alla chiesa e fatta di materiale più povero. Borromini sceglie la cortina laterizia, nobilitata però da una tessitura virtuosistica, frutto della sua raffinata tecnica: il semplice e umile mattone di colore marrone rosato acquista un particolare aspetto perché lavorato uno ad uno a dare l’impressione finale in chi guarda di essere di fronte ad un unico pezzo d’argilla.

 

Ma a rendere la facciata dell’Oratorio un autentico capolavoro è lo stile personalissimo, inedito, senza precedenti, con cui il gioco dinamico di convessità e concavità, il coronamento mistilineo, il respiro prospettico del fronte inflesso si manifestano: “… e nel dar forma a detta facciata concava dell’Oratorio mi figurai il corpo umano con le braccia aperte, come che abbracci ogn’uno, che entri”, così narra Borromini.

L’intento era quello di creare un’architettura dialogante e in perfetta armonia con la facciata della chiesa e con l’ambiente circostante la piazzetta del Pozzo Bianco (l’apertura a fine Ottocento del Corso Vittorio Emanule II ha profondamente alterato l’originaria visione prospettica di tutto il complesso), in una zona di Roma socialmente difficile, i cui abitanti vivevano ai margini della legalità e pertanto particolarmente bisognosa dell’apostolato di Filippo Neri.

Un repertorio di simboli si sussegue lungo la facciata: il portone centrale è sormontato da un timpano che racchiude due emblemi, una corona simbolo di gloria e due palme significanti l’operosità umana nel tempo. I capitelli delle lesene del piano superiore sono ornati di gigli; la stella a otto punte dei filippini è inserita nella cornice delle finestre al primo piano.

 

In alto sul cornicione e sul timpano mistilineo erano posti cuori ardenti, contrappunto armonico all’alto catino sovrastante il portale del balcone, la cui prospettiva è formata da cassettoncini ornati di rose, simbolo di caducità.

Francesco Borromini progetta per gli oratoriani anche gli ambienti conventuali, la biblioteca, il cortile, la torre dell’Orologio (dove campeggia un mosaico della Madonna Vallicelliana realizzato su disegno di Pietro da Cortona), curandone la realizzazione sia degli arredi che dei più piccoli particolari, sempre con le sue invenzioni brillanti e inaspettate in una torrenziale profusione di intuizioni.

Come il famoso camino della sala di ricreazione dei Padri, dalla struttura in forma di “tenda da campo” ampia e accogliente, quasi domestica, decorata con i simboli cari agli oratoriani: i gigli, la stella a otto punte ed infine ornata in alto dal cor flammigerum, il cuore ardente di San Filippo Neri; o, le perdute fontanelle, poste nel vestibolo che precede il refettorio dei Padri i cui rubinetti, in forma ciascuno di un animale diverso, assumevano significati simbolici nell’ambito della vita di una comunità religiosa: la lucertola (l’anima che cerca la Luce), l’uccellino (l’anima sospesa tra cielo e terra), l’ape (la saggezza, l’intelligenza, l’ordine).

Nell’interno dell’ampio salone dell’Oratorio, dove nei giorni festivi si teneva l’oratorio della domenica a carattere musicale sempre affollato di pubblico, la consueta traboccante inventività borrominiana si manifesta questa volta con una decorazione funzionale e sobria.

 

L’ambiente è ritmato da grandi pilastri con capitelli ionici collegati da una cornice da cui si sviluppano la balaustra con la loggia dei cardinali sul lato est, e, sopra l’altare, la loggia dei musici sul lato ovest.

Sull’altare la grande pala centinata con Santa Cecilia e San Filippo Neri in contemplazione della Madonna in gloria di Raffaello Vanni (1665); sulle pareti si ripetono le decorazioni in stucco con gli emblemi del Santo fondatore dell’Oratorio: i gigli, le stelle, le palmette, e i cuori fiammeggianti.

Di fronte alla cattedra lignea dove si tenevano le prediche è collocata dentro una nicchia la statua di San Filippo Neri, un’opera in stucco di Michele Maille.

La volta decorata in antico da un affresco ora perduto di Giovan Francesco Romanelli (1639-40) con l’Incoronazione della Vergine presenta ora un mediocre dipinto. Monaci Benedettini

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