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Cosa fare e vedere a Roma

Chiesa S. IVO ALLA SAPIENZA

 

La cupola più bella di Roma è senza ombra di dubbio questa di S. Ivo: le altre, siano esse immense o poderose non reggono il confronto per eleganza e originalità.

È la prima che viene avvistata dagli scorci panoramici sulla città non passando mai inosservata e suscitando la curiosità di chi non la conosce bene.

Appartiene ad una chiesa poco frequentata per la sua posizione un po’ nascosta sebbene si trovi nel pieno centro cittadino. A due passi da piazza Navona e da Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica, sul Corso Rinascimento si apre l’entrata al cortile del cinquecentesco palazzo della Sapienza iniziato su progetto di Guidetto Guidetti e di Pirro Ligorio nel 1562 e terminato nei primi anni del Seicento.

Era posta qui l’antica sede dello Studium Urbis, l’Università di Roma fondata da papa Bonifacio VIII nel 1303.

 

Quando l’Università fu trasferita nella moderna Città Universitaria nel 1935, qui si insediò l’Archivio di Stato di Roma che conserva tutti i documenti riguardanti la città per l’intero arco della vita dello Stato Pontificio, dal IX secolo al 1870.

La chiesa era la cappella dell’antica università romana; la sua costruzione risale agli ultimi anni del pontificato di Urbano VIII, che dette l’incarico a Francesco Borromini, ma fu terminata successivamente sotto i pontificati di Innocenzo X e Alessandro VII.

Il bel cortile che si apre dopo l’austera facciata sul Corso ha portici e logge a due ordini di arcate sovrapposte dall’elegante ma severo impianto rinascimentale di Giacomo della Porta: ciò che entrando colpisce immediatamente è la concava facciata della chiesa inserita a raccordare le due ali e a far respirare l’intero spazio. Borromini nel 1642 lavorò proprio a partire dalla facciata, già esistente, inserendo  il suo capolavoro: aggiunse l’attico sopra cui s’innalza il tiburio convesso, polilobato  e diviso da paraste corinzie; gli attacchi tra tiburio e attico sono coperti da tamburi sovrastati dallo stemma Chigi (la chiesa fu completata nel 1660 sotto il pontificato di Alessandro VII Chigi), i monti e la stella a otto punte.

 

Al di sopra la copertura a calotta gradinata costituita da una serie di dieci gradoni rivestiti di piombo spezzati da eleganti contrafforti radiali sui quali una voluta termina con una sfera. In cima la lanterna, che colonnine binate dividono in sei sezioni concave nelle quali si apre una finestra rettangolare ed infine, nel crescendo verticale, la meravigliosa cuspide a spirale decorata da stucchi e affiancata da fiaccole di travertino termina con una fiamma sopra la quale una corona in ferro battuto è sormontata dalla sfera e dalla croce.

Questa splendida invenzione borrominiana che si slancia puntando decisamente verso il cielo è stata oggetto di inesauste discussioni tra gli studiosi circa il simbolismo in essa nascosto.

C’è chi vi ha visto una attorta conchiglia, chi una tiara papale fiammeggiante, chi un’ape col suo pungiglione in omaggio all’animale araldico di papa Urbano VII Barberini, ma anche simbolo d’intelligenza; più verosimilmente il grande architetto ticinese può essersi ispirato all’iconografia della Torre di Babele così come all’epoca era raffigurata o al Turris Babel del padre gesuita Athanasius Kircher.

Non si tratta comunque in questo caso del simbolo negativo di confusione, bensì l’allegoria inerente alla torre della Filosofia, quindi alla Sapienza.

La spirale non è una fantasia orientaleggiante o la parafrasi naturalistica di una conchiglia ma l’emblema, insieme alla gradinata che la sorregge, di un ascetico itinerario della mente umana verso Dio.

 

La cupola di S. Ivo può essere assimilata ad una macchina dove le nuove scienze si affiancano alle antiche nell’immagine del faro e della torre di Babele, visioni entrambe appropriate in quello che era una volta un contesto universitario di conoscenza.

All’interno la pianta della chiesa con nicchie alle pareti alternativamente concave e convesse sulla traccia di due triangoli equilateri incrociati sembra rappresentare il sigillo di Salomone. Borromini è stato un architetto dal forte e complesso pensiero ermetico e simbolico che le sue opere riflettono immancabilmente.

La calotta interna della cupola s’innalza sopra una trabeazione leggermente aggettante riprendendo la forma a stella della pianta. In corrispondenza dei pilastri inferiori sono collocate delle nervature che dividono la cupola in sei spicchi. Le decorazioni a stelle sui costoloni  della cupola si riducono verso l’alto per suggerire un’idea di maggiore profondità. Dodici costoloni, come dodici sono gli apostoli, come dodici è il prodotto dei quattro punti cardinali per i tre piani del mondo, dividono il cielo - la cupola - in dodici settori come i segni zodiacali.

Ecco che il simbolismo borrominiano torna. Ad esempio: le dodici “alzate” di stelle (alternativamente a otto, numero dell’equilibrio cosmico, e sei punte, numero mediatore tra il principio e la creazione) della cupola danno in totale 111 stelle: 1+1+1=3, ad indicare i tre livelli cosmici: quello terrestre, quello dell’atmosfera, quello celeste, o i tre regni della natura: minerale, vegetale, animale.

Gli spicchi alternativamente concavi e convessi della cupola sono il segno “pneuma” che Borromini inserisce sempre.

Quest’opera è in ogni sua parte ricca di simboli, il più curioso dei quali può essere visto in uno dei balconi che danno verso piazza Sant’Eustachio – da dove è possibile ammirare uno scorcio della cupola – dove compare un serpente attorcigliato ad uno specchio che lo riflette e che potrebbe voler dire: quando la Conoscenza specchia sé stessa crea la Sapienza.

 

Sull’altare, S. Ivo, una tela dalle dimensioni eccezionali (8,25x3,75 metri) che fu commissionata a Pietro da Cortona da papa Alessandro VII nel 1660.

Rimasta incompiuta per la morte del maestro nel 1669, fu portata a termine da un suo allievo, Giovanni Ventura Borghesi e fu collocata sull’altare maggiore solo nel 1683.

Ritrae S. Ivo, patrono dei Giureconsulti, nell’atto di ricevere petizioni e suppliche da un gruppo di popolani. Il santo aveva infatti posto la sua dottrina al servizio dei poveri e degli indifesi tanto che era noto con l’appellativo di “avvocato dei poveri”.

Il santo veste gli abiti degli Avvocati Concistoriali che avevano il privilegio di fornire i rettori all’Archiginnasio. Nella parte superiore della pala Cristo circondato da San Luca (patrono dell’Archiginnasio), San Pantaleone (patrono dei medici), San Leone Magno (patrono dei teologi), Sant’Alessandro e San Fortunato, addita la Verità contenuta nel volume che gli porge San Gerolamo.

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