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Itinerari francescani: LA BASILICA DI SAN FRANCESCO E GLI AFFRESCHI DI GIOTTO AD ASSISI

Avvicinandosi ad Assisi – il cuore del cuore verde d’Italia – lo sguardo spazia sulla pianura umbra – la dolce piana del Topino e del Chiascio –  che ai tempi di Francesco doveva apparire punteggiata di zone dai mutevoli colori: i verdi smaglianti, accesi e brillanti dei prati volgevano in quelli densi e scuri delle macchie boschive, poi ancora in quelli smorzati e argentei dei bassi uliveti che si alternavano alle geometriche strisce d’argilla ocra o alle particelle marrone scuro della terra appena arata.

D’estate, le ben delineate ma sparse chiazze dorate dei campi di grano erano interrotte dalle isole irregolari delle fioriture selvatiche: i rossi, gli azzurri, i gialli e i violetti delle corolle splendevano sotto il cielo lucente; tra di loro i corsi dei fiumi cristallini tracciavano veloci le fresche vie d’acqua gorgoglianti.Giungendo da Perugia e varcando quindi l’ingresso alla città per la trecentesca Porta S. Francesco dal bell’arco a tutto sesto coronato da merli, o dalla Porziuncola, lo sguardo è improvvisamente catturato dai poderosi, formidabili contrafforti che sostengono il Sacro Convento e la Basilica di S. Francesco sul crinale scosceso del colle.

Questi ciclopici bastioni sembrano formare attorno allo scrigno più prezioso di Assisi una fortificazione, una cittadella inespugnabile, se non fosse per quelle arcate armoniose, anche se colossali, che si susseguono in corsa come le campate di un antico acquedotto romano: suggeriscono un ponte,  e dunque un avvicinamento, un invito ad entrare nel luogo più importante della città. Questi cinquantatré archi, imponenti e bellissimi, innalzati al tempo di papa Sisto IV (Francesco della Rovere, 1471-1484), consolidano tutto il vasto complesso, proteggendo la parte che guarda a valle, verso occidente. Oltre lo sprone svettano l’abside e il campanile della Basilica.

La città, meta ideale per pellegrinaggi, si sviluppa in senso longitudinale proprio in virtù della presenza della basilica dedicata a Francesco e del convento annesso, la cui costruzione modificò l’antico assetto urbanistico radicalmente, opponendosi al raccolto e scalare impianto romano.La parte media della città è dominata dalla Rocca Maggiore; si succedono in sequenza la Torre del Comune, il campanile e la cupola del Duomo, S. Chiara con il campanile a cuspide e le inconfondibili ali rampanti del suo convento; al di sopra la Rocca Minore, fino a giungere con lo sguardo in su, là dove si eleva il monte Subasio, dal gran dorso culminante a 1290 metri. Assisi è tutta costruita con la calcarea pietra rosa del Subasio, in un crescendo di terrazze artificiali: i tetti delle case affastellate si rincorrono digradanti per il lieve e morbido pendio della collina, con andamento ritmicamente disuguale.

Le sue strade strette e tortuose, asimmetriche e a volte ripidissime, dall’aspetto remoto, fanno rivivere a chi le percorra il tempo di Francesco.Un manoscritto trecentesco conservato alla Biblioteca Vaticana riporta una leggenda secondo la quale Francesco, trovandosi un giorno sulla collina inferiore di Assisi, improvvisamente s’inginocchiò a pregare. Il compagno che era con lui gli chiese il perché di quella sua inaspettata meditazione e Francesco gli rispose dicendo che ora quel luogo aveva nome collina dell’inferno, ma che un giorno non troppo lontano sarebbe stato chiamato collina del Paradiso.Si tratta probabilmente solo di leggenda, ma fa capire come questo luogo fu sempre molto apprezzato dall’Ordine. “Collis inferus” era infatti la collina situata a occidente di Assisi dove venivano gettati i rifiuti e si giustiziavano i malfattori. Per questi due motivi forse era chiamata collina dell’inferno, “collis inferni”.

Fu un certo Simone Puzzarelli a donare la collina inferiore perché vi fosse costruita una chiesa destinata ad ospitare il corpo di san Francesco: risale al 29 marzo 1228 il documento più antico finora conosciuto che è da porre in relazione con la basilica dedicata al santo.In questo documento ufficiale si dice che frate Elia riceve, a nome del pontefice Gregorio IX, il suddetto terreno. Un mese più tardi, il 29 aprile, il papa emana una bolla nella quale viene approvata l’edificazione della chiesa destinata a custodire il corpo di Francesco.Questi due documenti illustrano bene il desiderio sia del papa (Ugolino dei Conti di Segni, l’antico protettore di Francesco e dell’Ordine), che di frate Elia di rendere un omaggio straordinario al Poverello.La prima pietra dell’edificio basilicale fu benedetta dal papa addirittura il giorno successivo alla canonizzazione di Francesco, il 17 luglio 1228. Così la collina su cui stava per sorgere la mirabile chiesa fu chiamata dallo stesso pontefice “collis Paradisi”, collina del Paradiso.

I fedeli concorsero con abbondantissime elemosine alla sua costruzione, così che i lavori poterono concludersi in anticipo sui tempi, e in capo a meno di due anni la chiesa inferiore era pronta ad accogliere il corpo di san Francesco.La chiesa superiore ebbe il tetto entro il 1236, mentre tre anni più tardi si compiva la costruzione del campanile, la cui campana maggiore porta la data del 1238.L’11 giugno 1253 la basilica fu consacrata da papa Innocenzo IV. In quello stesso anno morivano sia frate Elia (il 22 aprile), sia santa Chiara (l’11 agosto), sia Agnese, sorella di Chiara (il 16 novembre).Negli anni successivi i papi, con diverse bolle, colmarono di privilegi e titoli onorifici la basilica preoccupandosi della sua ultimazione.Due pontefici in particolare, Clemente IV e Niccolò IV – quest’ultimo primo papa francescano – con le bolle rispettivamente del 28 marzo 1266 e del 15 maggio 1288, influenzarono decisivamente i lavori successivi. Fu così che grazie anche al sostegno di principi e potentati si ebbero in Assisi i più abili e rinomati artisti dell’epoca: fiorentini, senesi e romani.

Tra la fine del XIII e per quasi tutto il XIV secolo furono poste in sede le vetrate più antiche e furono completati i grandi cicli di affreschi; si aprirono le cappelle laterali della chiesa inferiore e il transetto d’ingresso.Nel complesso i lavori si conclusero nel 1367con la costruzione della cappella di S. Caterina d’Alessandria.È tuttora incerto chi fu l’architetto che disegnò la basilica: si fanno alcuni nomi tra cui Lapo o Jacopo tedesco, Paolo Lumprandi, Filippo da Campello, fra’ Giovanni della Penna e naturalmente frate Elia (che nacque in Assisi verso il 1180, e fu uno dei primi compagni di Francesco; nel 1217 divenne primo ministro provinciale e fondatore della custodia francescana di Terra Santa; in seguito (1220) tornato in Italia insieme a Francesco, fu da lui nominato (1221-1227) vicario generale dell’Ordine minoritico).

Mancano tuttora documenti sufficienti per propendere per l’una o l’altra candidatura, ma, oggi l’ipotesi più ragionevole appare quella che sostiene frate Elia come il primo o perlomeno il principale progettista, organizzatore e soprintendente alla costruzione della duplice basilica, del Convento e del Palazzo Pontificio. Negli anni in cui frate Elia fu generale dell’Ordine (1232-39), con il favore di Gregorio IX diede grande impulso all’opera di edificazione della chiesa e comunque, anche quando concluse il suo mandato, continuò ad occuparsi di essa essendo stato nominato Commissario della Fabbrica.È molto probabile che l’edificio basilicale presentasse una prima redazione più austera rispetto all’attuale, rispecchiando fortemente lo spirito pauperistico del francescanesimo delle origini. Severità riscontrabile tuttora nella basilica inferiore oscura, cupa e solenne con le basse arcate a tutto sesto di gravità ancora romanica: il senso di profondo raccoglimento che suggerisce simboleggerebbe secondo alcuni  la vita di penitenza.

Quando poi a frate Elia subentrarono alla giuda dell’Ordine padri generali inglesi si affermò il raffinato spirito gotico che informa l’ariosa aula della basilica superiore, dandole slancio, eleganza e leggerezza: così alta, luminosa e gaia è il simbolo della gloria.Questo è il significato potente e specialissimo che molti hanno attribuito alla presenza delle due chiese sovrapposte a comporre la basilica; molto più probabilmente la strutturazione su due livelli era motivata dalla necessità di accogliere nella zona inferiore i pellegrini che andavano a pregare sul corpo del santo e quella di destinare la parte superiore alle cerimonie ufficiali dell’Ordine, cui poteva partecipare anche il papa, sedendo sul suo trono collocato nell’abside.

La chiesa superiore di san Francesco è comunque un evento eccezionale, forse unico, di un diretto trapianto dell’architettura gotica del nord nel centro Italia del XIII secolo.Ma il nucleo fondante, da cui riceve senso tutto l’insieme, è la cripta con la tomba di san Francesco.Nel corso di una tumultuosa cerimonia il 25 maggio 1230 il corpo del santo veniva trasferito dalla chiesa di S. Giorgio ad una cella sotto l’altare maggiore della nuova basilica a lui intitolata.Padre Uribe nel suo bel libro “Itinerari Francescani” descrive così l’avvenimento: “Fu qualcosa di solenne e di processionale a cui assistettero tutto il popolo di Assisi e dintorni, vari prelati, cavalieri armati e tutti i ministri provinciali dell’Ordine, per l’occasione riuniti in capitolo generale ad Assisi. L’urna con i resti mortali di san Francesco era trasportata su un carro trainato da buoi. Quello che si narra dei drammatici avvenimenti capitati prima di entrare nella basilica è sovraccarico di elementi così soggettivi da non permettere di formarci un’idea chiara di quanto successo.

Stando a tali narrazioni, frate Elia avrebbe provocato un tumulto per  giustificare l’entrata precipitosa del corpo del santo, sbarrare decisamente le porte e procedere, con pochi aiutanti, a nascondere clandestinamente l’urna. Alcuni cronisti arrivano ad affermare che la processione non fu altro che una messinscena, dal momento che il vero trasferimento era già stato fatto da frate Elia tre giorni prima.Una cosa è certa: il sarcofago con i resti di san Francesco venne posto sotto l’altare maggiore, in un luogo non accessibile al pubblico, ma probabilmente visibile attraverso una “finestrella della confessione”, e così  rimase per qualche tempo. Si afferma che poco dopo venne costruito un corridoio segreto che partiva dal coro e giungeva fino alla tomba. Questo corridoio rimase aperto fino al 1442, quando venne ostruito per ordine pontificio. Molto presto si perse la conoscenza del luogo esatto, il che diede adito a varie leggende pie e fantasiose su dove e in quale forma si trovasse il corpo di san Francesco”.

Questa lunga citazione era necessaria perché solo il racconto di un frate minore come Padre Uribe può narrare esaurientemente le vicende straordinarie, e soprattutto poco conosciute ai più, riguardanti l’ultimo atto della vita di Francesco.Ma la storia non è qui conclusa, infatti, nel 1806 fu presa la decisione di aprire il sepolcro; però, a causa dell’occupazione napoleonica, i lavori furono sospesi per circa dodici anni.Il 12 dicembre 1818, finalmente, dopo cinquantadue notti di duro lavoro, fu rinvenuto il sarcofago in pietra protetto da alcune sbarre di ferro entro il quale fu trovato un cadavere che un testimone oculare descrisse come integro: il santo era ancora naturalmente deposto con le mani poggiate sullo stomaco; ma il contatto con l’aria presto disintegrò il corpo. Papa Pio VII dichiarò in un breve che il corpo ritrovato era quello di san Francesco.

Nel 1824 fu costruita una prima cripta a forma di croce greca e di stile neoclassico per la direzione di Pasquale Belli. Ma il contrasto di stile con il resto della basilica suscitò una serie di critiche che portarono alla fine alla totale ristrutturazione - tra il 1925 e il 1932 - e alla conclusione di una nuova cripta su disegno dell’architetto Ugo Tarchi.Di stile neoromanico – maggiormente intonato all’idea di povertà e semplicità di Francesco – il nuovo ambiente, più raccolto e sereno, invita alla preghiera di fronte al grande pilastro centrale intagliato nella roccia e coperto da una inferriata che custodisce il sarcofago di pietra assicurato con le sbarre originali del XIII secolo.

Agli angoli del transetto le nicchie protette da grate custodiscono le spoglie di Angelo, Masseo, Leone e Rufino, quattro dei primi compagni di Francesco.Di fronte alla tomba di Francesco, nel punto in cui confluiscono le scale d’accesso alla cripta, sono deposti i resti mortali di Monna Jacopa dei Settesoli, la fedele amica e nobile romana, che ospitò il santo varie volte nella propria casa. “Frate Jacopa” come Francesco la chiamava, giunse da Roma in tempo per vedere un’ultima volta Francesco prima della morte.

Di nuovo Padre Uribe descrive l’ultima, recente, operazione effettuata sul corpo del santo: “Il 17 gennaio 1978 un breve apostolico di Paolo VI autorizzava una nuova ricognizione del corpo di san Francesco. Sette giorni dopo si procedeva all’apertura dell’urna dinanzi a una commissione ufficiale composta da periti e da autorità varie.Dopo un minuzioso lavoro di ricognizione, descrizione e ripulitura, le ossa rinvenute venivano collocate in un’urna di plexiglass sotto vuoto e con azoto, al fine di impedire lo svilupparsi di germi e propiziare l’equilibrio barometrico interno in relazione a quello dell’ambiente esterno. Il 4 marzo di quello stesso anno, una volta conclusi i lavori e dopo alcuni giorni riservati alla venerazione delle sacre spoglie, queste venivano nuovamente chiuse nel sarcofago e protette con un moderno sistema di sicurezza”.

Sopra la cripta è impostata la bassa  e larga Basilica Inferiore che presenta una pianta articolata: l’unica navata è divisa in cinque campate da basse arcate a tutto sesto  sostenute da tozzi pilastri; la copertura è di volte a costoloni nella navata, di volte a botte nel transetto. Le volte a crociera sono dipinte in azzurro con alcune grandi stelle, mentre i costoloni presentano un’interessantissima decorazione a motivi geometrici con vivi contrasti cromatici, contemporanea agli affreschi delle pareti laterali, i più antichi di tutta la basilica. Furono attribuiti in un primo tempo a Giunta Pisano (1236 circa), ma oggi sono più esattamente rivendicati al cosiddetto “Maestro di S. Francesco”: sono andati purtroppo in gran parte distrutti a causa dell’apertura delle cappelle laterali.

L’altare maggiore, posto al di sopra della tomba di san Francesco è opera dei maestri Cosmati di Roma. Nelle quattro vele della volta gli affreschi con le Allegorie dei tre voti dell’Ordine, Povertà, Castità e Obbedienza, insieme all’Apoteosi di Francesco – che la tradizione attribuiva a Giotto – sono oggi assegnati a colui che è convenzionalmente chiamato “Maestro delle vele”.Alle pareti dell’abside semicircolare, il Giudizio finale, affresco del 1623 di Cesare Sermei. 

La decorazione ad affresco delle diverse zone e cappelle fu affidata nel tempo a notevoli artisti, tutti di grande rinomanza: Cimabue, Giotto, Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti, Dono Doni (cappella di S. Stefano), Cesare Sermei (cappella di S. Antonio da Padova).Nel braccio destro del transetto (la cui visione per la luminosità è migliore nelle ore pomeridiane) sono presenti affreschi importantissimi di Cimabue, Giotto e aiuti.Nel braccio sinistro della crociera si trovano gli affreschi di Pietro e Ambrogio Lorenzetti. All’estremità del transetto si apre la Cappella di S. Giovanni Battista, la cui bella bifora centrale porta la vetrata più antica della chiesa (della fine del secolo XIII), che presenta caratteri cimabueschi e dei romani che affrescarono la Chiesa Superiore. Discendendo il lato sinistro della navata, alla terza campata s’incontra la Tribuna, d’impianto gotico: ornata di marmi policromi, colonnine tortili e mosaici è opera dei marmorari cosmateschi della seconda metà del XIII secolo: da un suo lato sporge il pulpito.

La prima campata, ampliata ai lati da due bracci, quasi a formare un nartece, ha una struttura più decisamente gotica. Sui fianchi di ogni campata si aprono grandi archi a sesto acuto, che immettono nelle cappelle. Gli affreschi di Simone Martini sono nella prima cappella di sinistra dedicata a S. Martino. Nelle sagrestie sono custodite preziose reliquie tra cui – oltre al testo ufficiale originale della Regola bollata, approvata da Onorio III il 29 novembre 1223 e sandali e resti di tonache usate da san Francesco – in un reliquiario d’argento a forma di tabernacolo del XVI secolo, si trovano i due autografi di san Francesco sulle facciate di una pergamena (cm 10x14): la benedizione a fra’ Leone e, dietro, una laude al Creatore; questo importante ed emozionante documento-reliquia viene mostrato dalla loggia delle benedizioni: un tempietto opera di Valentino Martelli realizzato nel 1607 sulla sinistra della facciata della basilica superiore e comunicante con essa tramite un corridoio d’archi.

La parola PAX impressa su una siepe del grandioso spazio verde di fronte alla basilica superiore ci ricorda che qui, il 26 ottobre del 1986, in occasione della Giornata Mondiale della Pace si sono riuniti i capi religiosi di tutto il mondo; essa sembra idealmente proiettarsi e rispecchiarsi sulla facciata, rilucendo tra i merletti della magnifica rosa disegnata, che in antico era interamente ricoperta di mosaici policromi – così rutilanti e cangianti – da renderla simile ad un immenso fiore dai molteplici colori.

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