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Itinerario Francescano: La Verna

In Casentino – nell’alta valle dell’Arno, alle estreme propaggini della Toscana e in vista della Romagna – svetta, con le sue pareti rocciose inaccessibili, il promontorio appenninico isolato della Verna, blocco calcareo dalla remota storia geologica che raggiunge la sua altezza massima a 1283 metri.

La sua forma, molto particolare, tagliata com’è a picco da tre parti e ricoperta di una foresta secolare di abeti e di faggi, visibile da tutto il Casentino e dall’alta val Tiberina, lo rende un luogo misterioso e incantato, rupestre e selvaggio, che ha tuttora mantenuto intatta la sua naturalità nell’aspetto aspro e tormentato ma pieno di mistico silenzio, come aveva ai tempi di Francesco. Un luogo dell’anima, adatto, come desiderava il Poverello, al colloquio col divino.

Il suo nome  viene probabilmente dal verbo latino “vernare”, che vuol dire rinverdire, germogliare, o anche far freddo, gelare, come lo usò Dante. Mai nome fu più appropriato.

 

Raccontano i Fioretti che san Francesco: “spirato da Dio si mosse della valle di Spuleto per andare in Romagna con frate Leone suo compagno; e andando passò a pie’ del castello di Montefeltro. E udendo santo Francesco questa solennità che vi si facea e che ivi erano raunati molti gentili uomini di diversi paesi, disse a frate Leone: “Andiamo lassù a questa festa, però che con l’aiuto di Dio noi faremo alcuno frutto spirituale”. Tra gli altri gentili uomini che vi erano venuti di quella contrada a quello corteo, sì v’era uno grande e anche gentile uomo di Toscana, e aveva nome messere Orlando da Chiusi di Casentino, il quale per le meravigliose cose ch’egli avea udito della santità e de’ miracoli di santo Francesco, sì gli portava grande divozione e avea grandissima voglia di vederlo e d’udirlo predicare.

Giugne santo Francesco a questo castello ed entra e vassene in sulla piazza, dove era radunata tutta la moltitudine di questi gentili uomini, e in fervore di spirito montò in su uno muricciolo e cominciò a predicare proponendo per tema della sua predica questa parola in volgare: ”Tanto è quel bene ch’io aspetto, che ogni pena m’è diletto”. E sopra questo tema, per dittamento dello Spirito Santo, predicò sì divotamente e sì profondamente, provandolo per diverse pene e martiri de’ santi Apostoli e de’ santi Martiri e per le dure penitenze di santi Confessori, per molte tribolazioni e tentazioni delle sante Vergini e degli altri Santi, che ogni gente stava con gli occhi e con la mente sospesa inverso di lui, come se parlasse uno Agnolo di Dio”.

 

La festa di cui parlano i Fioretti, celebrata in onore di un neocavaliere, avvenne l’8 maggio 1213 nel castello di San Leone in Montefeltro: ha così inizio la storia del monte della Verna.Pochi giorni dopo infatti il conte Orlando Cattani di Chiusi in Casentino, feudatario della regione, donò la montagna della Verna, che aveva ereditato dai suoi antenati, a Francesco, il quale vi si recò l’anno successivo con alcuni compagni e vi costruì delle capanne intrecciate con tronchi d’albero e ricoperte di fogliame.Vi tornò poi ben sei volte, e fu qui che il 14(?) settembre 1224 “ nel crudo sasso intra Tevero ed Arno/da Cristo prese l’ultimo sigillo/che le sue membra due anni portarno” (Dante, Paradiso, XI, 106-108).Quando Francesco e i frati vi salirono questo era un luogo di ladri e banditi e il castello del conte Orlando Cattani, di cui ancora si vedono le rovine, era un baluardo per la salvaguardia dei commercianti e dei pellegrini che attraversavano la regione. L’ulteriore presenza dei frati poteva dunque trasformarsi in un efficace deterrente al rifugio su questo monte dei temuti briganti.

Nel settembre del 1224 Francesco, sempre più sconfortato per i contrasti e le incomprensioni di molta parte dei frati e assillato dalla Chiesa ufficiale che si preoccupava solo di minimizzare e normalizzare il suo rivoluzionario progetto di vita cristiana – soprattutto riguardo alla pratica della povertà – prende con sé pochi compagni fedeli, primo fra tutti Leone, e raggiunge la montagna della Verna per trascorrervi un lungo periodo di solitudine e meditazione.

 

Il racconto delle stimmate  

Il ciclo Robbiano Alvernino

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